ABBIGLIAMENTO
di Francesco Cannarsa
Indumenti di protezione - Generico.
La protezione - specifico
I tessuti
Indumenti di protezione L'attivita'
sportiva richiede un dispendio di energie notevole. A qualunque livello uno
sport venga praticato, l'impegno fisico e' direttamente proporzionale alla
preparazione atletica del soggetto. Una parte importante e' rivestita
dall'abbigliamento per tali attivita'. Il termine abbigliamento sportivo,
infatti, dovrebbe identificare il ruolo che esso riveste in seno alle
discipline stesse. Purtroppo il marketing si e' impadronito di tale termine
con i risultati che conosciamo. Qualunque sia la disciplina, i materiali e
gli abbinamenti rivestono un ruolo sempre maggiore ai fini della resa
pratica. Ai tempi dei primi giri del mondo, cosi' come ai tempi di Zeno
Colo', i materiali non erano certo quelli attuali, ma riflettendoci, si
notera' che gli atleti erano comunque alla ricerca di soluzioni
migliorative. Oggi il comfort e' diventato di vitale importanza anche e
soprattutto nei livelli medio bassi della disciplina sportiva, perche' genera
la riuscita o meno di una giornata. Infatti, una sciata sotto la pioggia puo'
essere soddisfacente cosi' come una veleggiata puo' esserlo, a patto di
non infradiciarsi e non impazzire dal freddo. Ecco che le aziende hanno
sviluppato materiali tecnologicamente innovativi partendo, pero', da principi
vecchi ed in continua evoluzione.
La protezione andrebbe pianificata in
base alla disciplina, al rendimento atletico del soggetto, al tempo
metereologico in atto. Un'aspetto molto importante e' dato dal fatto che
spesso non si e' in grado di definire prima, cosa e come indossare. A questo
aspetto del problema le aziende hanno risposto proponendo capi complementari,
che funzionino, cioe', da soli o in blocco. Particolari discipline
sportive come la vela (bagnata) o lo sci (freddo), hanno imposto un
successivo sviluppo dei capi che provvederanno al
nostro benessere.
Oggi il problema si e' risolto con il principio
della cipolla. Una serie di strati di tessuti complementari sovrapposti al
fine di creare il micro clima migliore. Questo principio e' stato
veicolante anche per lo sviluppo dei traspiranti, dove allo storico Gore-tex
(marchio) si stanno affiancando tessuti analoghi con caratteristiche
equivalenti e marchi differenti.
I traspiranti trovano impiego ovunque;
nella vela sono nati circa due anni fa. Dopo un periodo di sperimentazione,
infatti, essi sono stati definitivamente marchiati da GORE che con la
collaborazione di un pull di aziende ha sinergicamente sperimentato e
definito il prodotto. A tale proposito possiamo dire che gli standard
qualitativi di Gore restano i piu' severi, mantenendo alto il valore
intrinseco del prodotto stesso.
Per quanto concerne i tessuti veri e propri, questi concetti
hanno segnato il definitivo declino dei prodotti in tessuto naturale come
lana e cotone. Questi tessuti, infatti, assorbono una percentuale molto alta
di liquido, acqua o sudore, rendendo praticamente impossibile il
raggiungimento della soglia di benessere altrimenti naturale. Un altro punto
a svantaggio degli stessi e' legato al fatto che il sudore assorbito si
tramuta in flora batterica che oltre a generare cattivi odori, puo' in
qualche modo condizionare l'epidermide.
Particolare attenzione si e'
rivolta anche al caldo, oltre che al freddo, con la creazione di tessuti che
formino una barriera ai raggi U.V. ed impediscano l'effetto scottante del
sole. Il marchio in auge al momento e' il Sun Fit, in uso a molte aziende
dello sport; esso e' capace di abbattere la temperatura sulla pelle dai
40°esterni ai 32° interni al tessuto (dati dichiarti dal fabbricante). Nel
nautico mi risulta (da verificare) che sia in uso solo a Musto.
Un
altro problema su cui si e' lavorato molto negli ultimi anni e' quello della
condensa. Si e' passati, infatti, da semplici giacche a vento alle odierne
giacche a taglio termico, trilaminate, capaci di creare una vera e propria
barriera agli agenti esterni. La mancanza di circolazione dell'aria ha
accentuato le problematiche di condensa che sono state risolte con una
migliore progettazione/realizzazione dei capi, con l'introduzione dei
concetti relativi ai materiali non assorbenti ed infine con i
traspiranti.
Comunque, quanto diremo puo' essere riportato nella maggior
parte delle discipline sportive dal carattere attivo come la vela, lo sci, la
canoa, la mountainbyke ecc. Infatti, a prescindere dalla nicchia o dal
segmento in cui un marchio opera, molto spesso essi si appoggiano ad aziende
che realizzano tessuti dai contenuti tecnologici applicabili allo
scopo.
Ecco che oltre alla Gore, molte altre aziende sono presenti con i
loro marchi: la Dupont e' presente col Cordura, col Teflon ecc.;
Musto, Patagonia, Henry Lloid e qualcun altro con il Gore-tex Ocean; Musto
con MPX, MPX Light ecc.; Patagonia con Capilene e cosi' via; Malden con
Polartec, Meraklon e via dicendo.
Quando un'azienda acquisisce un
consistente spessore all'interno del tessuto commerciale in cui opera, esce
cioe' dalla nicchia come puo' essere la vela per entrare nello sport wear, ha
la tendenza a creare propri marchi per la identificazione dei tessuti che
usa. Questa tendenza potrebbe essere data dal fatto che si vogliono evitare i
legami con fornitori esterni o che si voglia vendere il prodotto a terzi;
molte volte e' legata alla necessita' di compressone dei costi. Lo sanno
loro, ma a volte questo processo disturba la bonta' del capo. In alcuni casi,
questa mossa e' legata alla necessita' di creare un tessuto specifico,
altrimenti non interessante. Musto ha messo a punto il Gore-tex Ocean con
Gore proprio per questo motivo. A causa dei pochi numeri, infatti, nessuno al
mondo avrebbe ritenuto interessante la creazione di un tessuto (il cui costo
in ricerca e sviluppo e' spaventoso) che, invece, sta risolvendo realmente
dei problemi. Molto importante e' stata la sinergia che ha coinvolto un po'
tutti gli operatori di settore, evitando di fatto la nascita di
surrogati.
Per concludere, un occhio di riguardo va posto nella scelta
dei marchi. Oggi piu' che mai e' un discorso di fedelizzazione, cioe' di
legame marchio-consumatore. Molti prodotti sono infatti incompatibili tra di
loro a causa di un livello qualitativo diverso. E' il caso del "pile",
altrimenti chiamato poliestere. L'azienda dominante del settore e' la Malden
americana, con un prodotto certamente ottimo ma costoso, il cui sotto marchio
e' Polartec. Un pile non e' un polartec. Cambiando la composizione del
tessuto, possono cambiare i parametri di riferimento al traspirante. Un pile
potrebbe avere, cioe', un punto di condensa piu' basso del suo fratello
nobile, accentuando l'effetto bagnato. Molto sensibili a questa
problematica sono i tessuti ottenuti dal riciclo; una lavorazione scadente o
un tessuto scadente compromettono la resa stessa del capo. Anche in questo
caso, marketing e numeri spadroneggiano. Basso costo iniziale, alto costo dl
capo. In america questo fenomeno e' particolare. La maggior parte dei
prodotti viene venduta per corrispondenza, oggi via internet, con una
compressione dei costi di circa il 30%. In Italia questo fenomeno va
affermandosi, pero' contrariamente agli americani, noi non basiamo sulla
vendita diretta la nostra economia commerciale. Ecco che sul mercato vengono
immessi prodotti direttamente dai fabbricanti che, con un taglio del 20% ca
del prezzo in un negozio, vendono prodotti non sempre di ottima fattura
realizzando utili importanti.
Chi ne fa le spese e' come al solito, il
consumatore.
La protezione
Entrando nello specifico
della vela e degli sport "bagnati", quello della protezione e' l'argomento
spinoso per eccellenza.
In sostanza, proteggersi vuol dire tre cose
fondamentali:
- dall'acqua, - dal freddo, - dal caldo.
I
fattori determinanti il raggiungimento del benessere corporeo, a parte
un buon prodotto, sono legati ad una buona combinazione dei capi utilizzati
in funzione della loro destinazione. Non serve a nulla, ad esempio, parlare
di cerate imbottite, perche' una cerata deve assolvere alla sola funzione
di guscio; deve proteggerci, cioe', nei confronti degli agenti
atmosferici esterni, preservando il lavoro svolto da altri capi. Se fosse
diversa da com'e', sarebbe troppo calda o troppo fredda in ogni circostanza
ed a seconda dell'individuo che ne fa uso. Delegare le singole funzioni di
protezione ai singoli capi, pero', potrebbe essere un problema legato ai
costi di acquisto/gestione, nonche' ai volumi di ingombro.
Questo ha
portato lo sport della vela a selezionare molto i marchi
di riferimento.
Nella vela, infatti, non e' possibile riciclare
articoli provenienti da altri settori, mentre e' possibile 'esportare' quanto
progettato e realizzato destinandolo ad altro fine. Sebbene troppo "fredda",
infatti, una cerata puo' essere tranquillamente utilizzata per sciare
(problemi di condensa a parte), mentre un piumino non puo' assolutamente
essere utilizzato in barca. Questo a causa dei materiali che compongono il
capo. (Affermazione, questa, che potrebbe essere messa in discussione dagli
ultimi tessuti nati, ma noi ci riferiamo al classico piumino d'oca)
Come gia'
detto, la protezione migliore si ottiene coprendo il nostro corpo con
materiali diversi ma compatibili tra loro, sovrapponendo vari strati dalle
diverse funzioni; in gerco spiccio, "a cipolla". In una giornata in cui
prevediamo una tranquilla veleggiata, nessuno ci impedisce di vestire una
polo in cotone con un golfino di lana. Nell'indossare la cerata a causa di un
leggero venticello, pero', ci ritroveremo bagnati in pochi istanti. La
causa e' la semplice incompatibilita' dei materiali diversi che
abbiamo addosso; la cerata condensa, il cotone si impregna di questa condensa
da sotto per via della naturale evaporazione del nostro corpo, e da sopra
a causa dell'umidita' raccolta e trattenuta dalla lana. La sensazione di
gelo e' immediatamente legata al fatto che il nostro corpo inizia a produrre
piu' calore per riscaldare i tessuti bagnati che, a contatto con la cerata
fredda, trasmettono il freddo sulla pelle. Il fenomeno si ingigantisce alla
fine di una azione che ha provocato sudorazione, esempio la virata con
conseguente manovra al verricello.
Le aziende di tutti i settori hanno da
sempre lavorato su questi particolari. Nella vela, una decina di anni fa si
e' creata una netta frattura tra i leader e gli inseguitori.
Musto ha
per primo presentato il sistema 3 strati, uno a pelle, uno intermedio ed uno
a guscio. Ha di fatto intuito la necessita' di creare combinazioni
compatibili. Come al solito la necessita' e' partita dal mondo delle grandi
regate oceaniche dove una economia di peso ed una praticita' di vestiario
sono fondamentali. E' impensabile che un velista in riposo debba
indossare indumenti bagnati del precedente turno togliendosi "il pigiama" per
volare in coperta. E' naturale che egli svesta la cerata e si metta a nanna
<< caldo e asciutto >> pronto a salire in coperta con una sola
operazione. Incredibile, ma possibile.
Il mercato di allora, detenuto
da tre grandi nomi, Henry Lloyd e Helly Hansen, oltre a Musto, ha recepito
bene questa nuova proposta, tranne che in Italia, dove vuoi per questioni
climatiche, vuoi per questioni socio-commerciali, tutt'ora c'e' poca
attenzione al problema ed al suo rendimento. Un'altro stravolgimento del
modo di proteggersi in ambito nautico e' nato da Musto qualche anno prima,
con l'introduzione delle cerate foderate. Una pellicola interna al tessuto
esterno, ma indipendente, che si preoccupa di raccogliere la naturale
consensa della cerata evitando che torni in contatto con gli strati
interni. A differenza dell'altro caso, questo nuovo modo di fare le cerate e'
stato immediatamente recepito dagli italiani, molto sensibili invece a
questo problema, decretando di fatto l'ingresso di tale tipologia in
Italia. Tra i primi a comprendere l'importanza di questa soluzione c'e'
un negoziante noto ai velisti adriatici, il "famoso Piro" di Marina di
Ravenna, partecipe, tra l'altro, dell'avviamento del concetto di design
della cerata. Tra i primi a capire che si poteva andare in barca stando
meglio. Certamente un velista e un negoziante da rispettare.
Si
potrebbe affermare che l'evoluzione della protezione in ambito marino
sia legata a questi due fattori essenziali. Dopo questi due salti di
qualita', il panorama tecnico si e' andato definendo con l'ingresso nel
segmento di altri nomi importanti, tra cui spicca Patagonia. La presenza
di questi quattro gruppi consolidati ha permesso la crescita degli standard
tecnici del prodotto destinato al mare.
In Italia siamo purtroppo molto
legati al marketing, facendo del vestiario una status-simbol, e lasciandoci
accarezzare dal soffice gusto del vestire e del mostrare: le banchine e le
barche sono piene di articoli di abbigliamento spacciati per "tecnici" tanto
costosi quanto inutili. E' sufficiente che Soldini indossi la Musto perche'
tutti gridino che Musto e' la migliore; poi Soldini esce con una cerata Fila
e tutti a comprare la cerata Fila. Peccato che pochi si accorgano che quella
cerata e' ancora una Musto col marchio Fila........ De angelis indossa
l'Hpx di Musto e tutti a comprare Musto (non e' un esempio, e' la realta'!);
poi lo vedono con la scritta Luna Rossa e tutti vanno in cerca delle cerate
marca "Luna Rossa". Peccato che anche in questo caso non sia cambiato niente,
fatto sta che il consumatore, in special modo il consumatore italiano, sia
stato disposto a spendere una fortuna pur di avere 'quel' meglio. Merit
parte per il giro del mondo con le cerate Merit ed i negozi si riempiono di
cerate Merit. Quella della barca, pero', non si trova. Perche'? Perche' il
marchio non vuol dire prodotto, infatti le cerate Merit le fa, guarda caso,
sempre la stessa azienda di prima, ma il consumatore non lo sa e compra Merit
credendo che sia buona davvero. Nessuno dice che non lo sia, ma non e' quella
che NOI crediamo che sia. In tutto questo continua a spadroneggiare il
marketing, che attraverso accordi e sapiente gestione dei marchi distoglie il
consumatore dal suo fine ultimo. Certamente la pubblicita' ha un ruolo
importante, ma in alcuni casi si esagera.
Tecnicamente, l'evoluzione
del vestiario degli ultimi quindici anni ci permette di portare poche cose ma
molto efficienti, indistinte per tutte le stagioni. Le aziende, in
particolare i grandi gruppi di cui sopra a cui se ne aggiungono altri di
marginale importanza, hanno fatto una vera e propria gara per proporre il
prodotto migliore. In alcuni casi semplicemente il prodotto che poteva
apparire migliore, ma questo fa parte del gioco.
Oggi, il corredo di un
velista puo' essere definito con molta semplicita', e suddiviso in due
borse. Una prima borsa dove trovano posto le magliette ed i pantaloni che
tanto ci piacciono; in una seconda borsa cio' che realmente ci differisce in
comfort dal nostro vicino fighettone. L'equipaggiamento standard del
velista dovrebbe consistere in:
Capi di biancheria intima in tessuto non
assorbente (poliestere e polipropilene i migliori) che provvedano a
coadiuvare la produzione del calore corporeo senza assorbire eventuali
eccessi che si trasformano in sudore; Cappello e calze come sopra; Uno
strato intermedio che aiuti il primo nella sua funzione, non
assorba, mantenga il calore; Uno strato che formi una barriera agli agenti
atmosferici; Guanti e stivali. Accessori di sicurezza.
Su quanto
sopra non si economizza e non si transige, pena il sentirsi poco a proprio
agio. Inoltre la sicurezza tanto passiva quanto attiva, sono
direttamente proporzionali alla qualita' ed all'entita' del corredo tecnico.
Serve a poco indossare l'autogonfiabile se questo non e' tarato sul carico di
vestiario che ci portiamo dietro, cosi' come serve a poco legarci se lo
facciamo con una cima ed un semplice moschettone. Ognuno di questi accessori
deve rispondere a precisi standard per garantire la sicurezza cui sono
destinati. Il concetto di sicurezza e' ancor piu' ampio quanto ampia e' la
nostra realta' di velisti. In una notturna, puzzandoci di freddo, bagnati,
senza stivali ma con le scarpette da ginnastica, e' facile inciampare nel
carrello del genoa, scivolare e........ Non crediamo che tali incidenti siano
rari. L'affondamento e' raro, non la congestione addominale da colpo di
freddo, e nemmeno il colpo della strega. E che dira di quella sensazione di
disgusto, di stanchezza, che aleggia in noi dopo una notte fredda e
bagnata? Non e' una questione di marchi, ma di prodotti. Molto bella e
riflessiva e' stata la dichiarazione di Silvia Giamberini riferita
all'acquisto di un capo non traspirante: << Ho scelto la cerata che
si addiceva alle mie necessita', senza andare sul top di gamma, tanto non
avrei comunque avuto il top di prodotto >>.
E' una frase che mi ha
fatto riflettere.
Il top di prodotto, oggi, e' rappresentato senza dubbio
dalle cerate traspirati, ultimo stadio dell'evoluzione del nostro vero
vestiario tecnico. I traspiranti tradizionali non sono impiegabili in
ambiente salino. La densita' dell'aria, per altro salmastra, pregiudica il
funzionamento del traspirante basato sul principio della porosita' del
tessuto ostruendone i fori in poco tempo. Nulla di grave per il capo ma esso
perde le sue funzioni di traspirante. In ambiente marino, molte aziende si
stanno sciacquando la bocca con la parola traspirante. Oggi tutti fanno il
traspirante per uso marino. Basta crederci.
I traspiranti possono
avere due principi di funzionamento, chimico o fisico. Anche in questo caso,
la sinergia di due nomi ha portato alla quasi perfezione. Il marchio di
cerate e la Gore danno vita alla cerata traspirante top di prodotto. Il
marchio e' cosi' definito perche' non e' importante il marchio in se, ma come
la cerata e' fatta. I marchi che si affiancano a Gore sono tre o quattro.
Vedremo in seguito cosa differisce tra loro i traspiranti di questa
tipologia. In alternativa al traspirante Gore, i produttori di cerate hanno
messo a punto traspiranti propri, con principi di funzionamento diversi,
piu' elementari. Tra queste, la prima e maggiormente riconosciuta c'e' la
serie Mpx di Musto. Anche altri produttori hanno tessuti simili, e' da
sottolineare, ma il mondo nautico ha all'unanimita' riconosciuto l'Mpx di
Musto come il migliore tra i traspiranti economici. Una cosa da non
sottovalutare nei criteri di scelta di un marchio e' la pubblicita'. Una
azienda seria difficilmente ama reclamizzare il proprio prodotto oltre un
certo limite ed un certo target di riferimento. Una azienda che si
pubblicizza troppo anche se all'interno del proprio segmento o settore,
sottrae risorse alla ricerca ed allo sviluppo. Solito ritornello
pubblicitario: non e' detto che chi si manifesta di piu' sia realmente il
meglio. Torna il pensiero di Ugo Marinelli sulle reali capacita' di scelta
del consumatore medio.
In cio' che e' stato detto, valgono le premesse di
quanto trattato in precedenza; sono nozioni che, a mio avviso, potrebbero
darci le prime indicazioni su cosa portare in barca.
continua
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