Capraia

43° 03'.06 N - 09° 50'.34 E
Capit.  0586.949910

Giuliano Delfiol - 2002

INGRANDIMENTO Capraia è un’isola che attrae irresistibilmente perchè, per quanto posta in relativa vicinanza della costa toscana, sul parallelo di San Vincenzo, a circa 25 mg al largo, e meta turistica ben consolidata, conserva un carattere alquanto selvaggio e primitivo.

La sua storia recente è segnata dall’impiego come penitenziario di lunga pena (Casa di pena agricola), perdurato fino al 1985. Tuttora una buona parte del suo territorio appartiene al demanio del Ministero della Giustizia, con una ricca e varia dotazione di fabbricati di servizio, già in precarie condizioni all’epoca della dismissione, e oggi in situazione di totale abbandono e rovina, spesso con effetti di grande squallore. Una piccola Asinara.
L’isola si visita unicamente a piedi, e benchè il traghetto della Toremar vi scarichi un certo numero di auto, il loro movimento, consentito solo nell’orario di arrivo e partenza della nave, è limitato al breve tratto di strada (nemmeno 1 km) che unisce il porto al villaggio, dove si trovano alcune strutture ricettive (prevalentemente residence) e un numero ancora piccolo di case di vacanza private, ottenute da ristrutturazioni.
Benchè, come dicevo, l’isola sia oggi al centro di una discreta attività turistica estiva, sono solo poche decine gli abitanti che vi passano l’inverno in solitudine. Quindi una situazione per certi versi eroica, per altri invidiabile. Se dovete scrivere un libro, o siete alla ricerca di un buen retiro contemplativo, questo è il posto che fa per voi. Da settembre a giugno, il silenzio e la solitudine saranno scanditi solo dall’arrivo della nave, un giorno sì e l’altro no.
Comunque, anche in piena stagione, quando l’affollamento di barche è notevole, vale sempre la pena di fare una sosta alla Capraia nella vostra crociera estiva.
Naturalmente occhio al meteo: Capraia non è posto per sostenere buriane, pericolose anche in porto, quindi informatevi bene, ascoltando il costiero di Meteo France per la Corsica, Capo Corso dista solo una quindicina di miglia ad W e quel che succede lì, sia pure leggermente attenuato, succede anche alla Capraia.

La costa dell’isola è quasi ovunque scoscesa e inaccessibile: non vi è nemmeno una spiaggia permanente, la cosiddetta “Mortola”, nella parte N, piccola e non facilmente raggiungibile, è di ineguale estensione nel tempo e non di rado viene temporaneamente inghiottita dal mare. Unica eccezione, il porto. Le possibilità di sosta sono dunque limitate, anche perchè buona parte del perimetro dell’isola (in particolare il tratto SW, da punta dello Zenobito a Punta della Manza) è zona di tutela integrale nell’ambito del Parco dell’Arcipelago Toscano (Ente di recente formazione, ancora non del tutto organizzato), e quindi, fra l’altro, vi è vietato dar fondo – e sarebbe comunque abbastanza difficile.

Giungendo alla Capraia dall’Elba (poco più di 20 mg rotta circa NW da Marciana Marina), l’isola vi apparirà come una alta groppa, arida e brulla, senza tracce di presenza umana. Solo avvicinandovi all’estremità N distinguerete il faro, che segna l’ingresso S del porto, la rocca in rovina e le case del paese alto. Lasciato a sinistra il faro, scoprirete la rada e il piccolo porto: sulla destra, dalla radice della breve diga di sopraflutto, emerge il tozzo pontile dei traghetti, che vi si ormeggiano di poppa, dando fondo a due ancore (manovra complessa e molto istruttiva da seguire, specialmente se c’è un po’ di vento).
Scoprirete che il porto, il cui ingresso è indicato dai segnali rosso e verde su torrette con palo, benchè molto piacevole e apparentemente ben riparato, è in realtà assai piccolo. Arrotondando il verde, avrete di fronte, da sinistra verso destra: una fiumara impraticabile; il moletto di sottoflutto, col segnale rosso, dal quale vi terrete alla larga, essendo avvicinabile solo a gozzetti e gommoni; un breve moletto di servizio, riservato ai mezzi istituzionali (CP, bettolina “Colonnello Sgarallino” per il rifornimento di gasolio alla centrale elettrica); il distributore di benzina e gasolio; un tratto di banchina accessibile al diporto (non più lungo di un centinaio di metri); il breve tratto di banchina riservato alla pesca, poi quello dei gozzetti locali (in pochissima acqua), infine la diga del segnale verde.
Capirete subito che non c’è da scialare, e infatti d’estate, dopo mezzogiorno, è quasi inutile affacciarsi sperando di andare in banchina, e alle otto di sera non vi rimarrà che mettervi in terza o anche quarta fila, sempre che vi sia fisicamente posto, sbarcando poi col gommino. A Capraia occorre andare in banchina di poppa, dando fondo, un fondo di fango e ciottoli infido e cattivo tenitore. Vi terrete quindi lunghi, dando fondo all’ancora un po’ a dritta della vostra prua, in quanto, salvo casi molto rari, il vento tira generalmente dalla gola fra le colline in fondo al porto. In banchina ci sono anelli e catene rugginose. A terra, sulla banchina polverosa, nè colonnine della corrente nè prese d’acqua. Vi parrà di essere nel 1960 (se avete l’età per questo genere di confronti). Peraltro l’ormeggio è gratuito, si paga unicamente una modesta tassa giornaliera per lo smaltimento delle immondizie (smaltimento che peraltro, per incredibile che possa sembrare, avviene ancora in una discarica a cielo aperto, in un ripido vallone a mare, con le immondizie che via via finiscono in acqua....).
Vi è tuttavia un regolare servizio di approvvigionamento idrico in banchina, a pagamento, con un addetto molto estroverso che porge la gomma alle barche in prima fila (e in alcuni casi, se lo aiuterete con la vostra manichetta, anche in seconda) e riscuote secondo quantità. L’acqua è relativamente costosa, ma dovete considerare che essa manca totalmente a Capraia: l’acqua che imbarcherete, o che ovunque consumerete nell’isola, è infatti approvvigionata da una incredibile bettolina (di quelle che navigano quasi totalmente immerse, con la coperta a fior d’acqua) che periodicamente viene fin da Livorno e alimenta con una manichettona un serbatoio comunale. Se c’è tempo cattivo durevole, la bettolina non naviga, e l’acqua può essere scarsa o addirittura mancare.
L’alternativa storica all’ormeggio in banchina era il tratto estremo della diga foranea, che, benchè orlato di scogli pericolosi, offriva a non più di una decina di barche la possibilità di ormeggiarsi dando fondo e mantenendo la poppa a qualche metro dalla banchina. Oggi questo non è più possibile, mi riferiscono infatti (non ho quindi visto coi miei occhi) che proprio l’anno scorso, perpendicolarmente alla diga di sovraflutto, sono stati sistemati due pontili galleggianti, a quello interno possono ormeggiare solo le piccole barche dei locali, mentre quello esterno consente l’ormeggio, su corpo morto, a qualche decina di barche medie. Non ho notizie su gestori, tariffe e servizi. Andremo a vedere la prossima estate.
Un’altra alternativa diffusamente praticata (e di fatto tollerata benchè a rigore vietata) è quella di ormeggiarsi di poppa (sempre dando fondo) al moletto dei traghetti, sul lato che guarda la diga di sovraflutto. Vi è posto per un piccolo numero di barche, e d’estate ve ne sono sempre, ma il luogo è altamente scomodo, sia per la risacchetta incessante che si riflette fra i due manufatti, sia perchè la banchina è alta più di 2 m e ½ sul pelo dell’acqua, e sbarcare risulta complicato e pericoloso. In compenso la testata del molo è teatro delle gesta dei pescatori a canna, che vi stazionano fino a tarda notte aspettando (e talvolta prendendo) le spigole.
Se le banchine sono piene, e così pure i pontili, cosa che, ripeto, d’estate è la regola, non resta che dare fondo nell’avamporto: fra il fanale rosso e la torre, sotto una rupe, troverete da 3 a 6 m di acqua trasparentissima e generalmente tranquilla su fondo fitto di posidonie. Molte barche (ed è una cosa che consiglio) portano una cima a terra, e in queste condizioni, con tempo di calma estiva, starete magnificamente, in pace assoluta.

Considerate comunque che nel porto di Capraia tutti i venti freschi, salvo la tramontana e il grecale (che vi entrano d’infilata, ma sono rari d’estate), si presentano invariabilmente dalla gola fra le colline in fondo al porto, con effetto di accelerazione locale che, specialmente con ponente o libeccio, diventa violento e nei casi peggiori veramente pericoloso. Le raffiche prendono infatti al traverso le barche ormeggiate in porto, il cui fondo è pessimo tenitore. Immaginate cosa succede se si mette a tirare la notte quando le barche sono in tre o quattro file, magari ormeggiate fra di loro in modo approssimativo, e qualche ancora comincia a mollare....
In queste condizioni (venti molto freschi dai quadranti occidentali) anche la sosta in rada è sconsigliabile, quand’anche la vostra ancora mordesse a dovere il letto di posidonie (e sappiamo che ben poche lo fanno), la risacca sarà molto fastidiosa. In caso di vento da W o SW davvero fresco (è una cosa che d’estate capita con una certa frequenza) si può trovare rifugio nel cosiddetto Porto vecchio, una modesta insenatura subito a N del porto attuale, però ben riparata da W dalla costa dirupata (e in parte occupata da una itticoltura cui dovrete fare attenzione). Le raffiche dalle colline saranno sempre notevolmente violente, e potranno farvi arare, ma almeno non avrete risacca e, con una buona guardia, potrete dormire: il fondo è come sempre di posidonie, però con pazienza (e di giorno) potrete trovare, lungo il costone meridionale, abbastanza vicino alla riva, alcune chiazze di sabbia affidabile.
Con tramontana e grecale, anche d’estate, è un brutto affare (e d’inverno, a quel che ho visto in pieno agosto, deve essere impressionante): il mare monta rapidamente ed entra violentemente in porto, con le onde che frangono sul fanale rosso, il pontile dei traghetti è sott’acqua, la risacca micidiale, le barche in banchina (unico posto a stento tenibile) si difendono come possono, con danni inevitabili, ed è già molto non farsi male. A me è capitato di passare una intera giornata, in banchina, col motore acceso (e marcia avanti ingranata) per non finire schiacciato in banchina da due file di barche sovrastanti, le cui ancore avevano immancabilmente arato. A prua, il resto dell’equipaggio a difendere il pulpito con i parabordi. Per miracolo non riportammo danni. Uno X-Yachts, che prese baldanzosamente il mare in queste condizioni, rientrò poco dopo rimorchiando l’albero troncato.....

Comunque, non vorrei suggerire impressioni troppo pessimiste: Capraia non è Capo Horn, e gran parte delle serate e notti d’estate sono tranquille e incantevoli. Il fascino del luogo è notevole anche a terra, specialmente al tramonto, quando l’animazione è massima. La banchina del porto, che non ha un vero villaggio, è circondata da una quinta di basse case, alcune affascinanti, con caffè discretamente ameni, un paio di ristoranti, una gelateria di buona qualità, un supermercatino dignitosamente fornito, un paio di onesti negozietti nautici dove troverete comunque da ricaricare le bombole. Completano l’insieme l’agenzia della Toremar e l’Ufficio della Cooperativa del Parco, dove potrete procurarvi piacevoli pubblicazioni storico-illustrative e una cartina dell’isola, indispensabile per le escursioni a piedi, o, se lo volete, anche una guida esperta dei luoghi.

I servizi: come dicevo, in banchina non c’è niente, e fino a pochissimo tempo fa gli unici servizi igienici disponibili a Capraia erano quelli, a pagamento e non proprio eccelsi, del piccolo campeggio in fondo al porto. Da un paio d’anni è stato lodevolmente restaurato e adibito a servizi per i diportisti un fabbricatino adiacente alla Delegazione di spiaggia, sempre in fondo al porto. I servizi sono nuovi e più che accettabili, anche se l’ultima volta che ci sono stato erano penalizzati da orari assurdi, tipo ufficio ... cosa volete farci.
Cosa si fa durante una sosta a Capraia? Invariabilmente si va anzitutto a vedere il paese, che è arroccato su una collinetta ripida. La strada comincia in fondo al porto, erta ma non lunga (meno di un km): dai tornanti, incantevole vista sul porto, mentre proprio sotto di voi vedrete la vostra amata alla fonda in rada. In alternativa alla strada lastricata, c’è una antica mulattiera più diretta e ripida, in parte gradonata, che sbuca alle spalle del paese. E, se non avete voglia di arrampicarvi, o fa troppo caldo, ogni mezz’ora un pulmino parte davanti alla Delegazione di spiaggia e in pochi minuti vi sbarca in paese.

Il paese è fatto di quasi niente, ma è molto affascinante, conservando un sapore di antiquato (e anche un po’ sgangherato) che a me personalmente ricorda con nostalgia la Grecia dei vecchi tempi. Vi perderete nelle stradine, ripide e malagevoli, scoprendo qualche casa veramente invidiabile, affacciata su panorami mozzafiato. Nella strada principale troverete anche qualche negozietto, un buon fornaio, vari baretti e un paio di ristoranti. Però uno di questi (incluso il pub annesso, dove si beve molto bene) vale da solo la sosta, si chiama La garitta del Castello, e lo troverete proprio sul cocuzzolo, dove il paese finisce contro la mole enorme del cosiddetto Castello, rudere imponente di una antica fortezza sopraelevata nell’800 per qualche demenziale iniziativa manifatturiera. Se non c’è troppo vento apparecchiano all’aperto, sulla spianata irregolare di roccia davanti alla fortezza, vi starete da padreterni e non rimpiangerete il conto non proprio modico ma onesto in rapporto ai contenuti. I gestori sono una cordiale famiglia di livornesi doc, già la parlata vi metterà di buon umore, e vi prepareranno un cacciucco di alta qualità, o altro ottimo pesce secondo disponibilità. Da molti anni ci vado a cena ogni volta che metto piede alla Capraia, e pur con le inevitabili oscillazioni, mi sono sempre alzato con l’idea di un prossimo ritorno. Speriamo bene.


Nel dopocena non c’è moltissimo da fare, avete già capito che Capraia non è posto da ore piccole organizzate. Il massimo è il cinemino all’aperto, alla torre sopra la rada, ma non tutte le estati è in funzione. Quindi si tira tardi bighellonando in banchina, con un gelato (del resto rispettabile), e si finisce con l’ultimo drink in pozzetto. Unica eccezione annuale la sagra del 15 agosto, con spettacolini e corsa nei sacchi in banchina, processione serale delle barche e spettacolo pirotecnico a conclusione: me la descrivono molto affascinante, ma confesso che personalmente non l’ho mai vista.

Di giorno, se non avete voglia di muovere la barca, potrete esplorare le calette col vostro tender se adeguatamente meccanizzato. Se la vostra motorizzazione lascia invece un po’ a desiderare, vi conviene noleggiare, a prezzi ragionevoli, dei gozzetti a motore disponibili al porto, molto divertenti. Io raccomando senz’altro una di queste soluzioni, visitare le coste di Capraia con la barca a vela è fonte inevitabile di grattacapi, i posti più invitanti sono poco accessibili, i fondali capricciosi (anche la migliore cartografia disponibile non è in scala adeguata), rocciosi e pieni di scogli, il rischio di incattivamenti o guai peggiori è reale.
I posti da bagno non mancano, almeno sulla costa di levante (quella di ponente, divieti a parte, benchè fascinosissima è quasi ovunque poco avvicinabile, e vi converrà percorrerla in barca lasciando l’isola). Il posto più suggestivo, che vale assolutamente la visita, è però Cala Rossa, una spettacolare spaccatura nella roccia all’estremità meridionale dell’isola, subito ad E di Punta dello Zenobito. Le rocce, intensamente e capricciosamente stratificate, si presentano di un color rosso acceso, che si riflette nell’acqua limpida con effetti veramente non comuni. Se ci andate la mattina presto (col tender o col gozzetto, beninteso), la troverete deserta, e vi farete sosta all’interno per un bagno indimenticabile nell’acqua resa rossa dal riflesso delle rocce..
Se invece avete voglia di sgambettare, tutta l’isola è intersecata da sentieri, generalmente malagevoli e anche imperfettamente segnalati (procuratevi la cartina alla Cooperativa), ma che attraversano un ambiente naturale selvaggio e duro (non vi sono alberi d’alto fusto, ad eccezione di qualche pino) veramente suggestivo. Non si può realmente definirlo incontaminato, in quanto diffuse sono le tracce di attività umana, il territorio è disseminato di muretti a secco, ruderi di casette e di vigne in gran parte risalenti all’epoca della colonizzazione penale, etc. Ma il tutto è abbandonato da molti decenni, e madre Natura ha ripreso incontrastata il sopravvento, con effetti sempre fascinosi. La gita principe, benchè alquanto faticosa, è quella al cosiddetto “Stagnone”, un ameno laghetto pieno di vegetazione acquatica (in primavera la fioritura di ranuncoli bianchi lo fa sembrare innevato), al quale viene ad abbeverarsi tutta la fauna presente sull’isola. Occorrono almeno tre ore di cammino, andata e ritorno (il sentiero parte dietro la chiesa del paese alto), ma ne vale la pena. Servono ovviamente buone scarpe (insufficienti i mocassini da barca) cappello in testa e una bottiglia d’acqua a testa nello zaino perchè il sole picchia implacabile e il caldo meridiano può essere da malore. Non dimenticate il binocolo per gli animali (soprattutto uccelli) e i panorami.
Se lo Stagnone non vi basta, potete proseguire la scarpinata (calcolate altre due ore abbondanti di cammino) fino all’antico Semaforo del Monte Arpegna, costruito dalla Regia Marina per tener d’occhio il traffico della Corsica, e mantenuto in attività fino alla fine della guerra. Oggi, come la maggior parte delle costruzioni demaniali presenti sull’isola, è in totale rovina.
In piena estate il paesaggio dell’isola è brullo e riarso, e porge di sè una immagine severa: molto più aggraziato invece in primavera, quando l’isola è interamente verde e pascoli e brughiere sono piene di fiori. Ho visto una volta, a fine aprile, tutto il vallone a N del castello completamente azzurrato, a tappeto, dai fiori di malva.
Chi ha invece interessi storico-architettonici farà visita alla chiesa e annesso convento di Sant’Antonio, posto sulla spianata dietro il faro. Lo stato di abbandono è pressochè totale, tant’è che in pratica si può dare solo un’occhiata da fuori. Ma l’insieme è suggestivo perchè improntato ad un barocco singolare, assai povero ed essenziale, che ricorda fortemente gli insediamenti coloniali ispano-americani.
Anni addietro visitai, all’interno di alcuni locali conventuali resi agibili alla meno peggio, una singolare mostra di progetti: una squadra di studenti di architettura stranieri aveva fatto uno stage sull’isola, redigendo proposte progettuali di recupero e valorizzazione, alcune sensate altre meno. Mi è rimasto impresso un progetto per l’ampliamento del porto: era previsto il prolungamento del molo dei traghetti da un lato, come diga di sottoflutto, e la costruzione di una diga foranea a partire dalla torre del porto. All’interno, un marina per centinaia di barche. Non farò per ora commenti, curioso di sentire i vostri, una volta di ritorno da una crociera alla Capraia.
Altra grande risorsa di Capraia, che sarebbe colpevole non citare, sono le immersioni. Ma confesso che su questo argomento non vi posso essere d’aiuto, perchè non sapendo fare non me ne intendo e sono quindi male informato. Chi è appassionato e ha dietro l’armamentario, converrà comunque si rivolga ad un pratico locale (individuabile rivolgendosi ai negozietti di ricarica), anche perchè l’istituzione del Parco ha introdotto limiti e divieti locali non sempre facilmente interpretabili.



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