Abbigliamento
di Francesco Cannarsa
Indumenti di protezione – Generico.
La protezione – specifico
I tessuti
L’attivita’ sportiva richiede un dispendio di energie notevole. A qualunque livello uno sport venga praticato, l’impegno fisico e’ direttamente
proporzionale alla preparazione atletica del soggetto.
Una parte importante e’ rivestita dall’abbigliamento per tali attivita’. Il termine abbigliamento sportivo, infatti, dovrebbe identificare il ruolo che
esso riveste in seno alle discipline stesse. Purtroppo il marketing si e’ impadronito di tale termine con i risultati che
conosciamo. Qualunque sia la disciplina, i materiali e gli abbinamenti rivestono un ruolo sempre maggiore ai fini della resa pratica. Ai tempi dei primi giri del mondo, cosi’ come ai tempi di Zeno Colo’, i materiali non erano certo quelli attuali, ma riflettendoci, si notera’ che gli atleti erano comunque alla ricerca di soluzioni migliorative. Oggi il comfort e’ diventato di vitale importanza anche e soprattutto nei livelli medio bassi della disciplina sportiva, perche’ genera la riuscita o meno di una giornata. Infatti, una sciata sotto la pioggia puo’ essere soddisfacente cosi’ come una veleggiata puo’ esserlo, a patto di non infradiciarsi e non impazzire dal freddo. Ecco che le aziende hanno sviluppato materiali tecnologicamente innovativi partendo, pero’, da principi vecchi ed in continua evoluzione.
La protezione andrebbe pianificata in base alla disciplina, al rendimento atletico del soggetto, al tempo metereologico in atto. Un’aspetto molto
importante e’ dato dal fatto che spesso non si e’ in grado di definire prima, cosa e come indossare. A questo aspetto del problema le aziende hanno risposto proponendo capi complementari, che funzionino, cioe’, da soli o in blocco.
Particolari discipline sportive come la vela (bagnata) o lo sci (freddo), hanno imposto un successivo sviluppo dei capi che provvederanno al nostro benessere.
Oggi il problema si e’ risolto con il principio della cipolla. Una serie di strati di tessuti complementari sovrapposti al fine di creare il micro clima
migliore.
Questo principio e’ stato veicolante anche per lo sviluppo dei traspiranti, dove allo storico Gore-tex (marchio) si stanno affiancando tessuti analoghi con caratteristiche equivalenti e marchi differenti.
I traspiranti trovano impiego ovunque; nella vela sono nati circa due anni fa. Dopo un periodo di sperimentazione, infatti, essi sono stati
definitivamente marchiati da GORE che con la collaborazione di un pull di aziende ha sinergicamente sperimentato e definito il prodotto.
A tale proposito possiamo dire che gli standard qualitativi di Gore restano i piu’ severi, mantenendo alto il valore intrinseco del prodotto stesso.
Per quanto concerne i tessuti veri e propri, questi concetti hanno segnato il definitivo declino dei prodotti in tessuto naturale come lana e cotone.
Questi tessuti, infatti, assorbono una percentuale molto alta di liquido, acqua o sudore, rendendo praticamente impossibile il raggiungimento della soglia di benessere altrimenti naturale. Un altro punto a svantaggio degli stessi e’ legato al fatto che il sudore assorbito si tramuta in flora
batterica che oltre a generare cattivi odori, puo’ in qualche modo condizionare l’epidermide.
Particolare attenzione si e’ rivolta anche al caldo, oltre che al freddo, con la creazione di tessuti che formino una barriera ai raggi U.V. ed
impediscano l’effetto scottante del sole. Il marchio in auge al momento e’ il Sun Fit, in uso a molte aziende dello sport; esso e’ capace di abbattere
la temperatura sulla pelle dai 40°esterni ai 32° interni al tessuto (dati dichiarti dal fabbricante). Nel nautico mi risulta (da verificare) che sia
in uso solo a Musto.
Un altro problema su cui si e’ lavorato molto negli ultimi anni e’ quello della condensa.
Si e’ passati, infatti, da semplici giacche a vento alle odierne giacche a taglio termico, trilaminate, capaci di creare una vera e propria barriera
agli agenti esterni. La mancanza di circolazione dell’aria ha accentuato le problematiche di condensa che sono state risolte con una migliore
progettazione/realizzazione dei capi, con l’introduzione dei concetti relativi ai materiali non assorbenti ed infine con i traspiranti.
Comunque, quanto diremo puo’ essere riportato nella maggior parte delle discipline sportive dal carattere attivo come la vela, lo sci, la canoa, la
mountainbyke ecc.
Infatti, a prescindere dalla nicchia o dal segmento in cui un marchio opera, molto spesso essi si appoggiano ad aziende che realizzano tessuti dai
contenuti tecnologici applicabili allo scopo.
Ecco che oltre alla Gore, molte altre aziende sono presenti con i loro marchi: la Dupont e’ presente col Cordura, col Teflon ecc.; Musto,
Patagonia, Henry Lloid e qualcun altro con il Gore-tex Ocean; Musto con MPX, MPX Light ecc.; Patagonia con Capilene e cosi’ via; Malden con Polartec, Meraklon e via dicendo.
Quando un’azienda acquisisce un consistente spessore all’interno del tessuto commerciale in cui opera, esce cioe’ dalla nicchia come puo’ essere la vela per entrare nello sport wear, ha la tendenza a creare propri marchi per la identificazione dei tessuti che usa. Questa tendenza potrebbe essere data dal fatto che si vogliono evitare i legami con fornitori esterni o che si voglia vendere il prodotto a terzi; molte volte e’ legata alla necessita’ di compressone dei costi. Lo sanno loro, ma a volte questo processo disturba la bonta’ del capo. In alcuni casi, questa mossa e’ legata alla necessita’ di creare un tessuto specifico, altrimenti non interessante. Musto ha messo a punto il Gore-tex Ocean con Gore proprio per questo motivo.
A causa dei pochi numeri, infatti, nessuno al mondo avrebbe ritenuto interessante la creazione di un tessuto (il cui costo in ricerca e sviluppo
e’ spaventoso) che, invece, sta risolvendo realmente dei problemi. Molto importante e’ stata la sinergia che ha coinvolto un po’ tutti gli operatori
di settore, evitando di fatto la nascita di surrogati.
Per concludere, un occhio di riguardo va posto nella scelta dei marchi. Oggi piu’ che mai e’ un discorso di fedelizzazione, cioe’ di legame
marchio-consumatore. Molti prodotti sono infatti incompatibili tra di loro a causa di un livello qualitativo diverso. E’ il caso del “pile”, altrimenti
chiamato poliestere. L’azienda dominante del settore e’ la Malden americana, con un prodotto certamente ottimo ma costoso, il cui sotto marchio e’ Polartec. Un pile non e’ un polartec. Cambiando la composizione del tessuto, possono cambiare i parametri di riferimento al traspirante. Un pile potrebbe avere, cioe’, un punto di condensa piu’ basso del suo fratello nobile, accentuando l’effetto bagnato.
Molto sensibili a questa problematica sono i tessuti ottenuti dal riciclo; una lavorazione scadente o un tessuto scadente compromettono la resa stessa del capo. Anche in questo caso, marketing e numeri spadroneggiano. Basso costo iniziale, alto costo dl capo.
In america questo fenomeno e’ particolare. La maggior parte dei prodotti viene venduta per corrispondenza, oggi via internet, con una compressione dei costi di circa il 30%.
In Italia questo fenomeno va affermandosi, pero’ contrariamente agli americani, noi non basiamo sulla vendita diretta la nostra economia
commerciale. Ecco che sul mercato vengono immessi prodotti direttamente dai fabbricanti che, con un taglio del 20% ca del prezzo in un negozio, vendono prodotti non sempre di ottima fattura realizzando utili importanti.
Chi ne fa le spese e’ come al solito, il consumatore.
Entrando nello specifico della vela e degli sport “bagnati”, quello della protezione e’ l’argomento spinoso per eccellenza.
In sostanza, proteggersi vuol dire tre cose fondamentali:
– dall’acqua,
– dal freddo,
– dal caldo.
I fattori determinanti il raggiungimento del benessere corporeo, a parte un buon prodotto, sono legati ad una buona combinazione dei capi utilizzati in funzione della loro destinazione. Non serve a nulla, ad esempio, parlare di cerate imbottite, perche’ una cerata deve assolvere alla sola funzione di guscio; deve proteggerci, cioe’, nei confronti degli agenti atmosferici esterni, preservando il lavoro svolto da altri capi. Se fosse diversa da com’e’, sarebbe troppo calda o troppo fredda in ogni circostanza ed a seconda dell’individuo che ne fa uso.
Delegare le singole funzioni di protezione ai singoli capi, pero’, potrebbe essere un problema legato ai costi di acquisto/gestione, nonche’ ai volumi di ingombro.
Questo ha portato lo sport della vela a selezionare molto i marchi di riferimento.
Nella vela, infatti, non e’ possibile riciclare articoli provenienti da altri settori, mentre e’ possibile ‘esportare’ quanto progettato e
realizzato destinandolo ad altro fine. Sebbene troppo “fredda”, infatti, una cerata puo’ essere tranquillamente utilizzata per sciare (problemi di
condensa a parte), mentre un piumino non puo’ assolutamente essere utilizzato in barca. Questo a causa dei materiali che compongono il capo.
(Affermazione, questa, che potrebbe essere messa in discussione dagli ultimi tessuti nati, ma noi ci riferiamo al classico piumino d’oca)
Come gia’ detto, la protezione migliore si ottiene coprendo il nostro corpo con materiali diversi ma compatibili tra loro, sovrapponendo vari strati dalle diverse funzioni; in gerco spiccio, “a cipolla”.
In una giornata in cui prevediamo una tranquilla veleggiata, nessuno ci impedisce di vestire una polo in cotone con un golfino di lana.
Nell’indossare la cerata a causa di un leggero venticello, pero’, ci ritroveremo bagnati in pochi istanti.
La causa e’ la semplice incompatibilita’ dei materiali diversi che abbiamo addosso; la cerata condensa, il cotone si impregna di questa condensa da sotto per via della naturale evaporazione del nostro corpo, e da sopra a causa dell’umidita’ raccolta e trattenuta dalla lana.
La sensazione di gelo e’ immediatamente legata al fatto che il nostro corpo inizia a produrre piu’ calore per riscaldare i tessuti bagnati che, a
contatto con la cerata fredda, trasmettono il freddo sulla pelle. Il fenomeno si ingigantisce alla fine di una azione che ha provocato
sudorazione, esempio la virata con conseguente manovra al verricello.
Le aziende di tutti i settori hanno da sempre lavorato su questi particolari. Nella vela, una decina di anni fa si e’ creata una netta
frattura tra i leader e gli inseguitori. Musto ha per primo presentato il sistema 3 strati, uno a pelle, uno intermedio ed uno a guscio. Ha di fatto intuito la necessita’ di creare combinazioni compatibili.
Come al solito la necessita’ e’ partita dal mondo delle grandi regate oceaniche dove una economia di peso ed una praticita’ di vestiario sono
fondamentali. E’ impensabile che un velista in riposo debba indossare indumenti bagnati del precedente turno togliendosi “il pigiama” per volare
in coperta. E’ naturale che egli svesta la cerata e si metta a nanna “caldo e asciutto ” pronto a salire in coperta con una sola operazione.
Incredibile, ma possibile.
Il mercato di allora, detenuto da tre grandi nomi, Henry Lloyd e Helly Hansen, oltre a Musto, ha recepito bene questa nuova proposta, tranne che in Italia, dove vuoi per questioni climatiche, vuoi per questioni socio-commerciali, tutt’ora c’e’ poca attenzione al problema ed al suo
rendimento.
Un’altro stravolgimento del modo di proteggersi in ambito nautico e’ nato da Musto qualche anno prima, con l’introduzione delle cerate foderate.
Una pellicola interna al tessuto esterno, ma indipendente, che si preoccupa di raccogliere la naturale consensa della cerata evitando che torni in
contatto con gli strati interni.
A differenza dell’altro caso, questo nuovo modo di fare le cerate e’ stato immediatamente recepito dagli italiani, molto sensibili invece a questo
problema, decretando di fatto l’ingresso di tale tipologia in Italia.
Tra i primi a comprendere l’importanza di questa soluzione c’e’ un negoziante noto ai velisti adriatici, il “famoso Piro” di Marina di Ravenna,
partecipe, tra l’altro, dell’avviamento del concetto di design della cerata. Tra i primi a capire che si poteva andare in barca stando meglio. Certamente un velista e un negoziante da rispettare.
Si potrebbe affermare che l’evoluzione della protezione in ambito marino sia legata a questi due fattori essenziali. Dopo questi due salti di qualita’, il panorama tecnico si e’ andato definendo con l’ingresso nel segmento di altri nomi importanti, tra cui spicca Patagonia.
La presenza di questi quattro gruppi consolidati ha permesso la crescita degli standard tecnici del prodotto destinato al mare.
In Italia siamo purtroppo molto legati al marketing, facendo del vestiario una status-simbol, e lasciandoci accarezzare dal soffice gusto del vestire e del mostrare: le banchine e le barche sono piene di articoli di abbigliamento spacciati per “tecnici” tanto costosi quanto inutili.
E’ sufficiente che Soldini indossi la Musto perche’ tutti gridino che Musto e’ la migliore; poi Soldini esce con una cerata Fila e tutti a comprare la
cerata Fila. Peccato che pochi si accorgano che quella cerata e’ ancora una Musto col marchio Fila……..
De angelis indossa l’Hpx di Musto e tutti a comprare Musto (non e’ un esempio, e’ la realta’!); poi lo vedono con la scritta Luna Rossa e tutti
vanno in cerca delle cerate marca “Luna Rossa”. Peccato che anche in questo caso non sia cambiato niente, fatto sta che il consumatore, in special modo il consumatore italiano, sia stato disposto a spendere una fortuna pur di avere ‘quel’ meglio.
Merit parte per il giro del mondo con le cerate Merit ed i negozi si riempiono di cerate Merit. Quella della barca, pero’, non si trova. Perche’?
Perche’ il marchio non vuol dire prodotto, infatti le cerate Merit le fa, guarda caso, sempre la stessa azienda di prima, ma il consumatore non lo sa e compra Merit credendo che sia buona davvero. Nessuno dice che non lo sia, ma non e’ quella che NOI crediamo che sia.
In tutto questo continua a spadroneggiare il marketing, che attraverso accordi e sapiente gestione dei marchi distoglie il consumatore dal suo fine ultimo. Certamente la pubblicita’ ha un ruolo importante, ma in alcuni casi si esagera.
Tecnicamente, l’evoluzione del vestiario degli ultimi quindici anni ci permette di portare poche cose ma molto efficienti, indistinte per tutte le
stagioni.
Le aziende, in particolare i grandi gruppi di cui sopra a cui se ne aggiungono altri di marginale importanza, hanno fatto una vera e propria
gara per proporre il prodotto migliore. In alcuni casi semplicemente il prodotto che poteva apparire migliore, ma questo fa parte del gioco.
Oggi, il corredo di un velista puo’ essere definito con molta semplicita’, e suddiviso in due borse.
Una prima borsa dove trovano posto le magliette ed i pantaloni che tanto ci piacciono; in una seconda borsa cio’ che realmente ci differisce in comfort dal nostro vicino fighettone.
L’equipaggiamento standard del velista dovrebbe consistere in:
Capi di biancheria intima in tessuto non assorbente (poliestere e polipropilene i migliori) che provvedano a coadiuvare la produzione del
calore corporeo senza assorbire eventuali eccessi che si trasformano in sudore;
Cappello e calze come sopra;
Uno strato intermedio che aiuti il primo nella sua funzione, non assorba, mantenga il calore;
Uno strato che formi una barriera agli agenti atmosferici;
Guanti e stivali.
Accessori di sicurezza.
Su quanto sopra non si economizza e non si transige, pena il sentirsi poco a proprio agio. Inoltre la sicurezza tanto passiva quanto attiva, sono direttamente proporzionali alla qualita’ ed all’entita’ del corredo tecnico. Serve a poco indossare l’autogonfiabile se questo non e’ tarato sul carico di vestiario che ci portiamo dietro, cosi’ come serve a poco legarci se lo facciamo con una cima ed un semplice moschettone. Ognuno di questi accessori deve rispondere a precisi standard per garantire la sicurezza cui sono destinati.
Il concetto di sicurezza e’ ancor piu’ ampio quanto ampia e’ la nostra realta’ di velisti. In una notturna, puzzandoci di freddo, bagnati, senza stivali ma con le scarpette da ginnastica, e’ facile inciampare nel carrello del genoa, scivolare e…….. Non crediamo che tali incidenti siano rari.
L’affondamento e’ raro, non la congestione addominale da colpo di freddo, e nemmeno il colpo della strega. E che dira di quella sensazione di disgusto, di stanchezza, che aleggia in noi dopo una notte fredda e bagnata? Non e’ una questione di marchi, ma di prodotti. Molto bella e riflessiva e’ stata la dichiarazione di Silvia Giamberini riferita all’acquisto di un capo non traspirante:
“Ho scelto la cerata che si addiceva alle mie necessita’, senza andare sul top di gamma, tanto non avrei comunque avuto il top di prodotto.”
E’ una frase che mi ha fatto riflettere.
Il top di prodotto, oggi, e’ rappresentato senza dubbio dalle cerate traspirati, ultimo stadio dell’evoluzione del nostro vero vestiario tecnico.
I traspiranti tradizionali non sono impiegabili in ambiente salino. La densita’ dell’aria, per altro salmastra, pregiudica il funzionamento del
traspirante basato sul principio della porosita’ del tessuto ostruendone i fori in poco tempo. Nulla di grave per il capo ma esso perde le sue funzioni di traspirante.
In ambiente marino, molte aziende si stanno sciacquando la bocca con la parola traspirante. Oggi tutti fanno il traspirante per uso marino.
Basta crederci.
I traspiranti possono avere due principi di funzionamento, chimico o fisico. Anche in questo caso, la sinergia di due nomi ha portato alla quasi
perfezione. Il marchio di cerate e la Gore danno vita alla cerata traspirante top di prodotto. Il marchio e’ cosi’ definito perche’ non e’
importante il marchio in se, ma come la cerata e’ fatta. I marchi che si affiancano a Gore sono tre o quattro. Vedremo in seguito cosa differisce tra
loro i traspiranti di questa tipologia.
In alternativa al traspirante Gore, i produttori di cerate hanno messo a punto traspiranti propri, con principi di funzionamento diversi, piu’
elementari. Tra queste, la prima e maggiormente riconosciuta c’e’ la serie Mpx di Musto. Anche altri produttori hanno tessuti simili, e’ da sottolineare, ma il mondo nautico ha all’unanimita’ riconosciuto l’Mpx di Musto come il migliore tra i traspiranti economici.
Una cosa da non sottovalutare nei criteri di scelta di un marchio e’ la pubblicita’. Una azienda seria difficilmente ama reclamizzare il proprio prodotto oltre un certo limite ed un certo target di riferimento. Una azienda che si pubblicizza troppo anche se all’interno del proprio
segmento o settore, sottrae risorse alla ricerca ed allo sviluppo. Solito ritornello pubblicitario: non e’ detto che chi si manifesta di piu’
sia realmente il meglio. Torna il pensiero di Ugo Marinelli sulle reali capacita’ di scelta del consumatore medio.
In cio’ che e’ stato detto, valgono le premesse di quanto trattato in precedenza; sono nozioni che, a mio avviso, potrebbero darci le prime
indicazioni su cosa portare in barca.
Introduzione ai tessuti impiegati nell’abbigliamento per lo sport.
Nell’analisi dei tessuti idonei ad impiego in ambiente marino, dobbiamo imporci una regola di critica che deve necessariamente accompagnarci per il resto del cammino conoscitivo:
Il costo non e’ l’unico indice di bonta’ di un prodotto come non lo e’ la pubblicita’ che si fa a quel prodotto.
Un costo puo’ apparire esagerato come valore assoluto, scomparendo se relazionato all’efficacia dell’oggetto acquistato, al suo rendimento, alla durata nel tempo o alla semplice soddisfazione delle nostre necessita’.
Visto che parliamo del nostro benessere, forse vale la pena accettare con maggior attenzione le proposte del mercato, senza rifiutare a priori il
costo apparente dell’articolo.
In ambiente salino lo stress del tessuto utilizzato e’ notevolmente maggiore di quello del tessuto utilizzato in altri ambienti, come ad esempio quello montano. Per quanto il freddo possa essere causa di deterioramento, infatti, il sale che cristallizza ha un effetto abrasivo che riduce in breve tempo la vita del prodotto. E’ uno dei motivi per cui si raccomanda di conservare le mute in neoprene bagnate quando queste non si possono risciacquare in acqua dolce. Il sale, in combinazione con i raggi ultra violetti, irrigidisce molti materiali alterandone le caratteristiche fisiche (le scotte, ad esempio, o le vele), cosa che non succede con il freddo in caso di neve. Il sale imporrisce la gomma, che si secca e spacca; e’ il caso del lattice delle cerate stagne, delle pinne e maschere subacquee, dei gommoni.
Un’altra prerogativa dello sport bagnato in ambiente salino e’ riferita al fatto che ci si asciuga difficilmente. Il sale, infatti, cristallizza col
sole o generalmente col caldo-secco, ma in caso di umidita’ torna a sciogliersi impregnando i tessuti; e’ la situazione tipica dei micro climi caldo-umidi generati dalle cerate al loro interno, ma anche dell’interno delle nostre barche.
Moitessier aveva lo straccio sporcodi acqua di mare che fungeva da stazione meterologica, mentre un detto afferma che chi viene bagnato dall’acqua di mare non si asciuga piu’.Insomma, il salino e’ il vero nemico dello sport bagnato.
A questo scopo, la progettazione e la realizzazione di capi in uso all’ambiente marino deve necessariamente essere diversa da quelli per uso in
montagna.
Altra problematica e’ data dal fatto che bagnarsi in mare vuol dire avere un livello di comfort scadente, perche’ si bagnera’, a sua volta, tutto cio’
con cui si viene in contatto; da qui la necessita’ di ridurre al minimo il bagnato. Due mondi sono molto simili, il mare e la montagna; per le condizioni estreme, ma anche per gli estremismi cui si trovano di fronte i frequentatori di tali mondi.
Precedentemente si e’ detto che alcuni capi sono complementari ed utilizzabili nei due estremi, altri no; Infatti, il gore tex, nato per gli
alpinisti, e’ stato sviluppato per l’uso in mare a causa delle particolarita’ dell’ambiente marino, mentre un pile e’ un pile e una termica
e’ una termica a prescindere dall’ambiente in cui essi vengono utilizzati. Parleremo di finissaggio del capo, cio’ di quei prodotti che vengono
aggiunti al filato per accrescere determinate caratteristiche del prodotto finale, ma la sostanza resta simile. In pratica, i capi coinvolti devono corrispondere agli stessi requisiti, anche se in ambienti diversi. Parlare di mare e montagna vorrebbe delle diversificazioni dovute al tipo di
attivita’ svolta; una regata, una gara di sci, una sciata in pista, stanno tra loro come la crociera d’altura e lo sci alpinismo o la roccia. I
riferimenti alla “base di partenza o arrivo” sono diversi.
Il corredo dei primi sara’ certamente Hi-Tech, di uso veloce per via della veloce conclusione del gesto atletico o sportivo, mentre quello dei secondi sara’ necessariamente leggero, funzionale, modulare, pratico, resistente ecc. per via della durata ben piu’ lunga dell’azione.
Questo secondo modello non e’ necessariamente o almeno, non e’ sempre, identificabile con il primo; la definizione di Hi- tech (altra parola molto in voga con cui molti produttori oggi continuano a sciacquarsi la bocca), spesso non coincide con i requisiti di cui al secondo modello.
Prima di avviarci alla valutazione dei tessuti impiegabili o ideali per l’impiego in ambiente marino, e’ necessario fare una seconda considerazione
direttamente successiva a quella di apertura.
La popolarizzazione della nautica, intesa come allargamento della fascia di fruitori, e come impoverimento dei concetti di scelta di un dato articolo, ha fatto si che per primo ne risentisse il vestiario tecnico. E’ impensabile ricondurre il nostro equipaggiamento ad un solo completo, cosi’ come e’ impensabile allargare l’utilizzo di un capo tecnico alla vita di tutti i giorni.
Una cerata non puo’ e non deve essere pensata per un utilizzo in citta’, o in moto, o in montagna. Chi vende un prodotto con questo scopo, che fa del fashion sui capi tecnici, che scimmiotta una cerata rendendola un capo Hi-tech per la citta’, perde l’obiettivo principale di tutta questa storia:
la protezione. Chi va in giro con una cerata oceanica sul motorino potrebbe essere solo ridicolo, ma chi va in barca con il giubbetto da citta’ tanto
sail, puo’ ledere sensibilmente alla sua sicurezza. La continua ricerca della compressione dei costi a vantaggio dei grandi numeri ha indotto
aziende che producevano un ottimo abbigliamento tecnico ed un ottimo vestiario da citta’ a confondere il due segmenti impoverendoli entrambi.
Il giubbotto da citta’ deve restale tale e la cerata oceanica non serve per andare in ufficio.
Non acquistiamo il cartografico per girare la citta’. O almeno non ancora e comunque non utilizzeremo lo strumento nautico sulle nostre automobili.
E’ a questo punto che le vite commerciali di ottime Aziende si separano prendendo strade differenti. Personalmente mi sentirei di criticare molti
produttori di abbigliamento nautico, tecnico e non, per le errate informazioni che diffondono ed per le false necessita’ che generano, ma
sarebbe una lotta impari e senza fine; in fondo, al consumatore, soprattutto al consumatore italiano, piace essere distolto da una verita’ se vogliamo, inutile.
Una cerata e’ concepita per un uso veloce, intenso, prolungato, sedentario, dinamico, bagnato (prodiere) statico (timoniere) ecc. Ad esempio il collo di una cerata risponde a precisi requisiti di barriera al vento/acqua che sulla moto sono totalmente diversi. La stessa chiusura del collo di una cerata ha la sua efficacia solo e soltanto in quella posizione. Puo’ essere usata per lo sci, ma non per la moto, dove la postura e’ diversa. Di contro, un giubbotto con la zip avra’ un taglio, un collo, una chiusura che certamente non potranno soddisfare l’impiego in barca a meno di non essere stato studiato con quell’intento. Di fatto, la confusione esistente sui mercati e’ alimentata da tutte queste evidenze.
Tornando alla funzione dell’abbigliamento tecnico da vela, abbiamo visto come possiamo realizzare quattro raggruppamenti del materiale necessario al nostro comfort:
1) La cerata, che provvede all’isolamento dall’esterno;
2) I capi calore e barriera agli agenti esterni;
3) I capi calore;
4) Gli accessori e gli accessori di sicurezza.
Generalmente sui cataloghi il percorso esplicativo nasce dalle cerate super extra tecniche esagerate; e’ normale, solleticano la fantasia del velista
medio e fanno numeri.
Noi seguiremo un altro ordine, basato sull’importanza del realizzare un micro clima, all’interno della nostra cerata, che sia il migliore possibile.
Ovviamente, diamo per scontata l’esistenza nel corredo di una buona cerata che comunque vedremo i seguito.