foto da Il Piccolo di Trieste (su concessione del Direttore)


Dalla Barcolana del 2000, sono scaturite diverse discussioni ei confronti dell’uso di salvagenti, cinture di sicurezza o stivali, Francesco Cannarsa, professionista del settore nautico, scrive:


dalla sua e-mail.


Allora, vediamo di argomentare:


1)

Dobbiamo, cadendo in mare, avere sufficienti margini di sicurezza.
Avremo poche situazioni standard e molte variabili. Le costanti sono:

– Navigazione impegnativa in equipaggio
– Navigazione impegnativa in solitario e equip. ridotto
– Regata impegnativa in equipaggio
– Regata impegnativa in solitaria (2x)

E’ evidente che parliamo di salvagente proprio in caso di condizioni
impegnative, anche se personalmente lo indosso sempre di notte.

Scindendo le costanti, abbiamo la crociera e la regata.

2)

Dobbiamo galleggiare.
La legge ha individuato delle fasce che identificano l’uso del salvagente.
La legge e’ fatta male e lo sappiamo tutti.
Ma le fasce che indicano la galleggiabilita’ sono stranamente azzeccate;
avremo 50, 100 e 150 Newton.
Con 50 N avremo un AIUTO AL GALLEGGIAMENTO, incapace di sostenere un corpo
umano privo di sensi.
Con 100 N avremo un Aiuto al galleggiamento, incapace di avere funzioni
proprie, ma capace di sorreggere, per un periodo limitato di tempo, un corpo
privo di sensi.
Con 150 N avremo un SALVAGENTE, un oggetto, cioe’, capace di sorreggere un
corpo privo di sensi, ma non solo; questo oggetto e’ capace di provvedere
alla rotazione del corpo nella posizione ottimale, al suo sostentamento,
alla sopravvivenza passiva del naufrago e tutto questo per un periodo
illimitato di tempo.

Valori assoluti in questo campo non ne esistono, infatti assistiamo a stole
omologate 150N per navigazione d’altura, che dopo tot tempo di immersione
affondano da sole. E sono spesse 10 cm.

*** Sono superficiale, me ne rendo conto, ma essere preciso e dettagliato
richiederebbe ore di scrittura e lettura. ***

La legge identifica le tre fasce con altrettante fasce d’uso:

– 50 N per derive, W/surf, e per navigazioni in acque protette
– 100 N per navigazioni entro XXX miglia
– 150 N per navigazioni senza limite.

Soprassediamo anche sulla bailamme delle leggi perche’ questi dati
potrebbero essere sbagliati.

A questo punto abbiamo una distinzione ancora piu’ profonda tra crociera e
regata.
Il legislatore, infatti, vorrebbe che ogni imbarcazione sia dotata di
“stole” da X Newton pari alle persone imbarcate. Ma la stola fa schifo e
cosi’ l’armatore coscenzioso o il regatante, oltre quelle imbarca qualcosa
di piu’ comodo, ed iniziano le distorsioni.

I costi degli oggetti di cui abbiamo parlato sono variabili del tutto
personali ma esistenti, sballando la cosa di diverse centinaia di migliaia
di Lire.

Applichiamo quello che abbiamo detto alle costanti di cui abbiamo parlato
attraverso un’analisi del prodotto disponibile.

A) Oggetti disponibili sul mercato:
A.1) Stole da 50, 100, 150 N.
A.2) Gilet galleggianti da 50 e 100 N; non mi risultano da 150 N. di aziende
primarie. Generalmente non omologati.
A.3) Collari gonfiabili, automatici o manuali, da 50, 100, 150 N. ed oltre,
con o senza cinture di sicurezza (e per scopi diversi). Generalmente
omologati
A.4) Cerate galleggianti, prodotto nuovo per il mercato, da vari N. di
spinta. Oggi omologate.

B) Ogni imbarcazione deve avere adeguati mezzi di salvataggio idonei alla
navigazione effettuata.
Va da se che la maggior parte delle imbarcazioni ha bisogno del 150 N

C) Ogni imbarcazione deve avere, per scelta dell’armatore, mezzi di
salvataggio idonei all’attivita’ praticata.
Chi fa regate opera scelte diverse da chi fa crociere a lungo raggio.

a.1) Quanto alle stole, esse sono di pessima fattura, almeno quelle che si
acquistano a prezzi contenuti ed in Italia, sono ingombranti, di difficile
stivaggio e certamente poco pratiche, al punto da non essere quasi mai
usate. Quanto al loro uso in casi estremi, lasciatemi dubitare della reale
resa. Una imbarcazione che esce dal porto e si allontana piu’ di 1 miglio
dalle coste, non dovrebbe avere a bordo simili aborti.
Unico vantaggio, costano (relativamente) poco.

a.2) I gilet galleggianti sono generalmente di ottima fattura, indicati per
scopi differenti. Un buon gilet costa quanto (o piu’) un buon salvagente.
Molto valido in regata, soprattutto in equipaggio, in quanto la quantita’ di
occhi presenti sul campo difficilmente fa pensare ad un dramma. Ne esistono
sia di tipo freddo che caldo, con la capacita’, cioe’, di
produrre/conservare o meno il calore.

a.3) Il collare gonfiabile e’ nato per i professionisti. La sua praticita’,
pero’, lo ha portato a bordo delle barche da diporto. Poco ingombrante ed
eterno; se dotato di cannula per il gonfiaggio a bocca, a meno di strappi
garantisce il galleggiamento (a vari livelli di spinta) e sono convinto che
salvi la pelle.
E’ disponibile con o senza cintura di sicurezza ed al limite con cinture
diverse secondo il tipo di impiego.
E’ fondamentalmente disponibile in due versioni, automatico e manuale.
Il principio di funzionamento e’ identico, una bomboletta contenete aria a
pressione viene forata da uno spillo e provvede al gonfiaggio del collare.
Il meccanismo di “esplosione”, invece, e’ azionato da fonti diverse. Nel
caso del manuale, un cordino tirato fa scattare lo spillo che buca la
bomboletta. Nell’automatico, una capsula igroscopica, cioe’ sensibile
all’acqua, espandendosi aziona un meccanismo che muove lo spillo che fora la
bombola.
Un buon collare automatico disporra’, certamente, dell’azionamento manuale.
Un buon collare ha la capsula sufficientemente protetta dagli spruzzi (anche
dalle brevi immersioni, direi) perche’ altrimenti chi fa il giro del mondo
tipo Vendee deve portarsi dietro piu’ bombolette che cibo.

Il mio collare di un noto marchio nordico, commercializzato da un altro noto
marchio nautico, non e’ mai esploso se non dopo immersione. Mi ha salvato la
vita due volte.

La stola da 150 N di un nota marchio del mercato italiano, legata al mio
corpo morto (peso delle cime in bando max 2 – 3 Kg.) in luogo del gavitello,
alle Isole Tremiti, e’ affondata dopo una tramontana.
I costi tra gli autogonfiabili posso differire anche con rapporto 1:2; va da
se che si legge che dopo uno spruzzo il salvagente si e’ gonfiato da solo.

a.4) Cerate galleggianti. Gran parlare. Mi limito ai difetti che
riscontrerei a bordo non avendole mai provate.
Non sono pratiche perche’ non sostituiscono ne la cerata ne il salvagente;
se piove ma non c’e’ vento, perche’ mi porto dietro tutta quella roba? In
agosto, con una bella maestralata, parto con mare formato per la Sardegna,
fa un bel caldo, ho bisogno di cintura e salvagente e che faccio, indosso la
cerata? Quella da 50 N che e’ sottile o quella da 150 N che se cado a mare
mi salva? Ma non sara’ che poi mi disidrato? Col sale addosso, poi.

Esistono quelle traspiranti, e’ vero, ma un traspirante deve essere a
cellula aperta, cioe’ deve lasciar passare aria e/o vapore; come si ottiene
un traspirante che, su certi spessori, lasci passare aria ma non acqua,
cioe’, non assorba? Gore, che e’ il Leader Mondiale dei traspiranti, sebbene
attento al problema sicurezza, pur lavorando su tale aspetto, non ha ancora
individuato il prodotto giusto, con centinaia di milioni ( miliardi)
investiti in ricerca.
Mi astengo da analisi tecnica in quanto e’ stato fatto il nome di un
produttore di tali cerate.

I punti b) e c) si dovrebbero, a questo punto, eviscerare da soli.

Spendo ancora due minuti sul galleggiamento.

Parlare di aiuto o di salvagente, fondamentalmente, apre due distinti canali
di indagine. Il primo e’ rivolto alla spinta idrostatica generata dal
prodotto utilizzato, il secondo dalla capacita’ dell’oggetto di generare
salvezza.

Prendiamo la spinta dei 150 N che riguarda il problema focale. Una tavola di
legno galleggia. Il prodotto che e’ nei salvagente galleggia. Il secondo e’
piu’ confortevole e lo abbiamo scelto per i salvagente.
Ma non basta dotarsi di un prodotto galleggiante per salvarci la pelle. Il
prodotto omologato, infatti, deve rispondere a determinati requisiti, tra
cui quello di tenere sollevata la testa o di far ruotare il corpo in
posizione tale da permettere la sopravvivenza.
Quindi le caratteristiche, obbligatorie o meno, di un buon salvagente SONO:

– Adeguato volume sulla zona toracico-addominale che garantisca il
sostentamento del corpo.
– Adeguato volume del collare, precisamente dietro la nuca, che garantisca
la continua emersione del capo.
– Cinghiaggi che garantiscano l’immobilita’ dell’oggetto e, soprattutto, che
ne impediscano la perdita, quindi e’ fondamentale l’inguinale.

In conclusione, in crociera e’ senza dubbio meglio il collare, in regata e’
senza dubbio meglio l’aiuto. Con le dovute variabili, ma questo solo dopo
aver analizzato a fondo il problema e solo perche’ un acquisto sbagliato
certamente mette a rischio la vita, ma in questa sede significa doppio
acquisto; basterebbe riflettere sulla base dei dati per capire che si
potrebbe acquistare un unico oggetto, omologato, con determinate
caratteristiche, che risolva il lavoro di tre oggetti ma ne costa due.

Stivale o ……??

Suggerire l’uso di uno stivale o meno, comporta un’analisi dell’attivita’
svolta, in quanto si potrebbe generare un vero, oltre che serio, problema.

Come singolo caso porto un esempio.

J24, monotipo, bagnato, in inverno. Si usa la stagna. Si usa uno stivaletto
da deriva, usualmente in neoprene. Per grave difetto e colpa dell’atleta,
manca il salvagente.

Vola in mare, cade di testa. Il volume dell’aria contenuto nella stagna si
concentra nei piedi che, come giusto, in molte stagne sono in lattice e
formano corpo unico con la cerata; gli stivaletti fanno galleggiare i piedi.

Il malcapitato e’ privo di sensi, evidentemente in stato aerobico di
espirazione.

Non vorrei essere al suo posto.

Anche se soccorso, le grane non sarebbero poche.

Lo stivale, in questi casi, potrebbe uscire da solo e comunque manterrebbe
un assetto neutro; in ogni caso, in caso di soccorso, puo’ essere
agevolmente risolto.

Meglio sarebbe stato suggerire all’atleta un paio di scarpette da ginnastica
(ecco perche’ le stagne dovrebbero avere i piedi in lattice).

Non so cosa sia successo a Max alla barcolana, ma:

– Max e’ un atleta.
– Max e’ un regatante.

Ammesso che ci sia stato il problema (cosa di cui dubito visto il back
ground del soggetto), la soluzione e’ diversa per ognuno di noi.

Lo stivale, infatti, a prescindere dal confort che ognuno di noi puo’ o meno
ricavarne, ha il solo difetto di riempirsi d’acqua e la cosa da fastidio
solo in fase di recupero, essendo praticamente neutro in acqua. Diverso e’
il problema della calza contenuta nello stivale, che assorbendo acqua si
appesantisce. Basterebbe utilizzare la calza adatta, come del resto per
tutto l’equipaggiamento.

Andiamo al caso di Mauro ed alla sua richiesta (anche se non ha parlato di
scarpe o stivali). la barca e’ piccola e le manovre concitate. Mauro, come
ha giustamente evidenziato, potrebbe finire in acqua e siccome ha il suo
autogonfiabile, non ha il problema annegamento. Ma la scotta della randa gli
ha dato volta alla caviglia. Lo stivale, in questo caso, se buono e senza
lacci e senza quelle porcate che si vedono in giro, regge il carico della
scotta e potrebbe anche sfilarsi, con grande sollievo di Mauro. Lo
stivaletto da deriva non regge il carico provocando lesioni e, cosa
peggiore, non si sfilera’ mai!
La stessa cosa si puo’ verificare in staorzata di spi. Ci sono una ventina
di metri di drizza in giro, o sbaglio?

Si chiama stivaletto da deriva perche’ e’ nato ed e’ stato sviluppato per
quello scopo.
Il livello di confort lamentato o raggiunto dal singolo, si ottiene anche
con altri mezzi, magari piu’ adeguati.

Vi prego di perdonare la durezza e soprattutto l’aver preso questi messaggi
come stimolo . Niente di personale, mi raccomando, ma pare che qui leggano
circa 250 persone e qualcuno potrebbe anche finire in mare con questa
sequenza.

Francesco Cannarsa

 


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