Raccolta dalla discussione su VeLista fatta da Mauro Levrini
Una delle discussioni tecniche che ha coinvolto maggiormente la lista negli ultimi tempi è stata quella sulle ancore e le linee di ancoraggio.
Mi sembra giusto fare alcune premesse importanti.
Al di là delle fazioni “salpare a mano” e “salpaancore elettrico” è evidente che bisogna innanzi tutto distinguere di quale barca stiamo parlando. Possiamo essere tutti daccordo che è ridicolo pensare di installare un salpaancore elettrico su un 7m, mentre è altrettanto ridicolo pensare di salpare a mano l’ancoraggio di un 15m di 25 ton.
Anche se la sicurezza imporrebbe di prevedere possibili situazioni critiche, possiamo anche valutare l’uso che si intende fare di una barca. Chi decide che la barca gli serve solo per uscire dal porto, raggiungere la rada poco distante e rientrare prima di sera, potrebbe risparmiare su qualche metro di catena, qualche metro di cima e sull’ancora di rispetto, ma naturalmente questo non ne farebbe una regola generale per il crocerista. Chi poi usa la barca per le regate, dimensionerà i pesi e valuterà lo stivaggio con l’unico limite delle regole di stazza, ma probabilmente non userà mai l’ancora e non avrà certo le stesse esigenze del diportista. Su barche piccole e barche grandi si avranno poi, evidentemente, esigenze diverse e diverse reazioni al peso di ancora e catena a prua.
Vediamo intanto i tipi di ancore classiche più usate:
Un po’ di nomenclatura | CQR: (o ad aratro) ha uno snodo tra fuso e marra e deve arare per qualche metro per assumere la posizione corretta e fare una buona presa. Buona in tutte le condizioni. |
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BRUCE: ancora fissa, ottima su tutti i fondali, con una patta centrale e due laterali sagomate | AMMIRAGLIATO: tra le migliori su tutti i fondali ma ingombrante. Ne esistono di smontabili o a marre chiudibili, ma resta di difficile stivaggio |
DANFORTH: leggera, ottima sulla sabbia, ma poco efficace sugli scogli o sulle alghe
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GRAPPINO: ottima su tutti i fondali. Il peso è poco importante, ma è sicuramente la più ingombrante e pericolosa da tenere in coperta |
Sulle grosse navi la linea di ancoraggio lavora fondamentalmente di peso. Le tonnellate di ferro che finiscono in acqua sono davvero molte e riescono a tenere fermo il naviglio nella stragrande maggioranza dei casi (qualche volta anche loro arano).
La linea d’ancoraggio delle nostre barche funziona in modo alquanto diverso. L’ancora lavora per forma e non per peso. Solo che la posizione sul fondo, per farla lavorare di forma è, per ogni ancora, una e una sola con leggere tolleranze. Il compito di mantenere l’ancora nella giusta posizione (allineata al fondo secondo il proprio fuso) per far lavorare al meglio le marre è affidato alla catena. La catena per ottemperare a questo compito deve avere un peso minimo “x” ed una lunghezza minima “y” in modo che le sollecitazioni che le vengono trasmesse dal beccheggio e dal tiro dell’ imbarcazione non si trasferiscano direttamente all’ancora.
E veniamo al nodo del problema: è il peso della catena che garantisce che l’effetto ammortizzante sul tiro e che l’attrito sul fondo siano alti ed è la lunghezza che garantisce che anche nelle condizioni pessime vi sia sempre un abbondante linea di catena assolutamente parallela al fondo. Per cui il problema non è che un diametro del 6 di buona qualità non regga un carico di lavoro di alcune centinai di chili: il problema è che la catena del 6 si solleva dal fondo se non se ne cala una quantità notevole e questo per via del suo peso minore. Per cui si consiglia di non lesinare su diametro e lunghezza. La regola classica impone una lunghezza del calumo da 5 a 7 volte il fondo e comunque non si deve assolutamente scendere sotto le 3. Alcuni hanno sperimentato la soluzione di un peso a una decina di metri dall’ancora con la stessa funzione ammortizzatrice della catena, ma sono stati espressi dubbi sulla funzionalità di questo metodo nel filare e salpare l’ancora.
Sovente si utilizza un primo tratto di qualche decina di m di catena impiombata a una maggiore lunghezza di cima.
A questo generalmente si obietta che la cima non ha la stessa resistenza della catena (sana) e si logora più facilmente, soprattutto sull’impiombatura. Inoltre comporta la difficoltà di passare dal tamburo al barbottino del verricello (su barche oltre i 10 m, dove il verricello elettrico è senz’altro consigliabile). Per contro, su barche più piccole, ha il vantaggio di alleggerire notevolmente il peso nel gavone di prua e la fatica se si salpa a mano. Questo sistema comunque richiede che la cima sia portata in coperta, messa in chiaro e abbisciata perché non si aggrovigli filandola.
Fondamentale, come si è detto è la procedura usata per ancorare. Stabilito che l’ancora fa presa quando lavora coricata e con una trazione allineata al fuso, ci sono quelli che “buttano” l’ancora a marcia avanti con un certo abbrivio, fidando nel fatto che l’ancora scendendo grazie alla resistenza dell’acqua si orienti ugualmente nel modo corretto anziché capovolta, ma dipende dal tipo e dalla forma e con questo metodo è difficile tenere conto dell’orientamento che assumerà la barca da ferma. Se la velocità è eccessiva la catena può sfregare contro la fiancata o addirittura contro la deriva.
Altri ancorano a marcia indietro, che sembrerebbe più corretto, ma è necessaria una certa cura nel timonare per evitare di descrivere archi che anzicché mettere l’ancora in trazione, possono spedarla.
Se non si è in calma piatta il metodo migliore mi sembra quello di calare l’ancora quasi fermi, filando catena mentre la barca si sposta in direzione del vento (nella direzione cioè i cui effettivamente si eserciterà la trazione) lasciandola andare in tiro gradatamente per verificare la presa e solo alla fine dare un po’ di retromarcia per collaudare il tutto e distendere per bene la linea di ancoraggio.
Attenzione sempre, però: il vento gira! un ancoraggio alla ruota in rada fatto nel pomeriggio, sarà da verificare prima di notte all’instaurarsi della brezza di terra. Un controllo “a vista” con maschera e pinne dell’ancora e della sua posizione è sempre raccomandabile.
Un gavitello o un parabordo collegato con una cima al diamante dell’ancora, oltre a segnalarne la posizione, potrà facilitarne il recupero. Attenzione anche al raggio di rotazione rispetto alle altre barche, tenendo presente che non tutte le barche rispondono con gli stessi tempi alle variazioni del vento.
Infine, parlando di ancoraggi con brutto tempo, sovente è necessario essere in grado di allungare la linea di ancoraggio. È importante essere ben ridossati, ma non avvicinarsi troppo a riva per evitare la zona dove le onde cominciano a frangere (e per avere più spazio di manovra se l’ancora comincia ad arare). In questi casi un sistema molto valido consiste nel filare due ancore “appennellate” collegando una seconda ancora con 5-6 m di catena al diamante dell’ancora principale (generalmente predisposto).
Questo metodo dà più sicurezza di due ancore “afforcate” (cioè con due linee di ancoraggio a circa 45°) oppure della cima a terra, che con vento forte al traverso aggiunge una componente laterale alla trazione sulla linea di ancoraggio
Per gli ancoraggi in rada è importante aprire una parentesi sull’attenzione verso chi già vi si trova. Entrando in rada (a velocità minima) si devono osservare le altre barche, valutarne l’orientamento e la linea di ancoraggio per evitare di dare fondo sopra alla catena del vicino e cercare un posto adatto. Si osserveranno anche le tracce del vento e della risacca (che non sono uguali in tutti i punti) e ovviamente un giro nella zona scelta, scandagliando in cerchio favorirà una sosta tranquilla.
Il più delle volte, durante tutte queste manovre, il solito ferrodastiro entrerà in rada a 20 nodi piazzandosi esattamente dove stavamo dirigendo noi e mettendo immediatamente uno o più aquascooter su cui i ragazzi scorazzeranno rombando e usando le barche ancorate come boe per lo slalom …ma questo è un altro argomento.